Lezione: Philippe Mudry

Conferenza del Centro studi «Forme del sapere nel mondo antico»

in collaborazione con

Scuola Superiore di Studi in Filosofia
Dottorato di Ricerca in Antichità classiche e loro Fortuna. Archeologia, Filologia, Storia
Dottorato di Ricerca in Filosofia

 

Prof. Philippe Mudry

Université de Lausanne
Istituto Svizzero di Roma

 

Scienza greca e utilitarismo romano. uno sguardo dietro il pregiudizio

 

Mercoledì 19 Novembre 2014, ore 15
Università di Roma Tor Vergata
Macroarea di Lettere e Filosofia (via Columbia, Roma)
Edificio B, Piano III, Sala Riunioni «Roberto Pretagostini»

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Philippe Mudry, latinista e storico della scienza, è Professore onorario presso l’Università di Losanna e membro del Comitato esecutivo dell’Istituto Svizzero di Roma, dove presiede la commissione universitaria. Co-editore della rivista «Museum Helveticum», ha indagato numerosi aspetti della medicina antica soprattutto nel mondo romano, occupandosi tra l’altro di Celso, Celio Aureliano, Scribonio Largo. Noto in particolare per la sua edizione del Proemio del De medicina di Celso (La Préface du De medicina de Celse, Roma 1982), numerosi suoi lavori sono ora raccolti nel volume Medicina soror philosophiae. Regards sur la littérature et les textes médicaux antiques (1975-2005), Réunis et édités par Brigitte Maire, Lausanne 2006.

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Stando alla communis opinio, i Romani sono sempre stati indifferenti, se non decisamente ostili, alle scienze speculative (matematica, astronomia, geometria, etc.) dette studia Graecorum. Si ritiene generalmente che il loro spirito pratico e utilitaristico fosse interessato unicamente alle tecniche, quelle che oggi diremmo arti applicate. È vero che tali tecniche esigono una certa conoscenza delle discipline speculative, ma si tratta di una conoscenza intenzionalmente limitata a quanto sia necessario per l’esercizio dell’una o dell’altra di esse.

Parlando del livello di conoscenza scientifica dei tecnici romani, Vitruvio ricorre al termine mediocriter, che è stato spesso male interpretato. Il tecnico o l’ingegnere romano non è il sapiente greco che concepisce la ricerca scientifica di per sé, al di là delle sue applicazioni; tuttavia i Romani non mancarono di interessarsi alle scienze speculative in quanto tali, e le testimonianze in proposito sono numerose: ma hanno preteso che esse avessero una utilità morale. È in questo senso che gli studia Graecorum hanno assunto nel corso nella loro ricezione a Roma una prospettiva che dà loro la propria originalità e permette di parlare di una «scienza romana».

La scienza non può trovare il proprio fine in se stessa. Essa non può essere «gratuita», e la sua sola legittimazione risiede nell’aiutarci a vivere. È questa la concezione che si ritroverà molti secoli dopo nel famoso detto di Rabelais: «Scienza senza coscienza è la rovina dell’anima».