Il sapere specialistico nell’antichità, cioè le conoscenze degli scienziati e dei matematici, così come degli ingegneri, degli architetti o dei medici, merita un esame più ravvicinato. Nel campo della scienza, forse ancor più che in ogni altro ambito, le vicissitudini nella trasmissione del sapere hanno ridotto a una piccola frazione la quantità di materiale originariamente esistente. Per i tempi più remoti, ad esempio per l’Occidente prima dell’età di Platone (IV secolo a.C.), spesso abbiamo solo frammenti di informazioni. In alcuni campi, come l’ingegneria o l’architettura antica, non sappiamo quasi nulla su come le conoscenze tecniche fossero tramandate da una generazione all’altra, ed è molto diffusa l’idea che questo tipo di saperi venisse trasmesso oralmente. Anche intorno alla matematica – pur con tutta la sua importanza in ogni aspetto della vita degli antichi, dalla pianificazione e costruzione dei templi alla musica, alla teologia e alla filosofia – cominciamo ad avere informazioni concrete solo dalla fine del IV secolo a.C., e non conosciamo nulla di come siano stati raggiunti i primi risultati di primaria importanza, quale la fondamentale nozione di incommensurabilità.
Per un campo abbiamo più informazioni rispetto a qualsiasi altro: la medicina. In questo caso disponiamo di una gran massa di materiale; eppure non si può sottolineare abbastanza quanto sia importante ricercare interpretazioni convincenti sulle eterogenee informazioni cui abbiamo accesso. Prima di tutto viene la tradizionale domanda se la conoscenza scientifica sia stata originariamente ideata e trasmessa in forma orale o scritta. C’erano manuali per gli apprendisti, o gli specialisti usavano prendere degli appunti ad uso personale e istruivano oralmente i propri allievi? Segue un secondo interrogativo: come veniva fatta circolare orizzontalmente e verticalmente la conoscenza scientifica, cioè in diversi paesi e civiltà, e da una generazione all’altra? Quale fu il ruolo delle traduzioni nella trasmissione della conoscenza?
Il problema tematico: una linea programmatica “rivolta a Oriente”
Dopo la morte di Cleopatra, nel I secolo a.C., Roma conquistò l’Egitto e si affermò come il nuovo centro politico e culturale. La Grecia era già una provincia romana. La tecnologia raggiunse allora il suo punto più alto, e questo significava la possibilità di rendere disponibili per la vita quotidiana i risultati scientifici. Allo stesso tempo, le conoscenze tecniche e scientifiche cominciarono a diffondersi in tutto il mondo. I manoscritti vennero copiati, i testi furono tradotti. I contatti interculturali tra i diversi paesi divennero un mezzo fondamentale di fecondazione. Le tavolette cuneiformi registrano i contatti tra i Greci e la Mesopotamia già a partire dal VII secolo a.C. I testi egiziani furono tradotti in greco; quelli greci da allora in poi vennero regolarmente tradotti in latino. Più tardi, almeno a partire dal V-VI secolo d.C., le conoscenze disponibili in greco e latino cominciarono ad essere trasferite in arabo e a godere di nuova vita. Si trattò di un punto di svolta fondamentale. Le traduzioni arabe, la cui massima altezza fu raggiunta nel IX secolo d.C. da Ḥunain ibn Iṣhāq e dalla sua scuola, e dalle relative traduzioni dei testi medici greci, contribuirono alla diffusione e alla circolazione delle conoscenze scientifiche, in primo luogo la medicina e matematica, ma anche la filosofia e la scienza naturale.
La fecondazione interculturale
Questa fecondazione interculturale raggiunse anche la Cina? I contatti culturali e scientifici cinesi-arabi sono attestati con certezza dal 7 secolo d.C. Un orientamento verso Est attraversa tutta la scienza dell’Islam. Basterà citare alcuni esempi. Nel IX secolo fu scritta una grande opera medica intitolata Firdaus al-Hikmah (“Il giardino della sapienza”), ed è notevole che in essa le citazioni di medici indiani si intreccino con i testi di Ippocrate, Galeno e Dioscoride, che ancora necessitano di indagine. Contatti fondamentali ebbero luogo anche in altri campi della scienza. Come fecero i manoscritti medici a raggiungere gli studiosi arabi? E cosa accadde ai testi orientali? Verso la fine dell’VIII secolo l’opera astronomica Sūrya Siddhānta era stata portata da uno studioso indiano a Baghdad, dove ben presto venne tradotta, contribuendo così alla diffusione dei numerali Hindu nella regione del Mediterraneo. Anche il testo del celebre Ibn Mūsa al-Khwārizmī, considerato la più grande opera medievale di algebra, condivide questa tendenza. Resoconti geografici e storici su India e Cina furono scritti tra il X e il XIII secolo, e anche questi contenevano elaborazioni scientifiche di ampio respiro. Vanno inoltre menzionati l’importante lavoro del medico persiano Rashīd al-Dīn al-Hamdānī (XIII secolo), che contiene una grande quantità di informazioni sulla Cina, e un’enciclopedia di medicina cinese scritta nel XIV secolo, relativa alla teoria del polso, all’anatomia, all’embriologia, alla ginecologia, alla farmaceutica e ad altri ambiti medici.
Per quanto riguarda la medicina greca, abbiamo un notevole resoconto attestante una trasmissione verso Est. Si tratta di una testimonianza isolata, rinvenuta nell’Indice delle Scienze (Fihrist al-‘ulūm) di Abū’ l-Faraj ibn Abū Ya‘qūb al-Nadīm, un catalogo bibliografico, compilato nel X secolo, in cui si può leggere una storia riguardante il grande medico e alchimista persiano Rhazes. Si dice che questi abbia riferito: «Uno studioso cinese venne a casa mia e rimase in città per circa un anno. In cinque mesi imparò a parlare e scrivere in arabo, raggiungendo anzi l’eloquenza nel discorso e la calligrafia nella scrittura. Quando decise di tornare al suo paese mi disse, un mese prima o giù di lì: ‘Sto per andar via. Sarei molto contento se prima di andarmene qualcuno mi dettasse i sedici libri di Galeno’. Gli risposi che non aveva tempo sufficiente per copiare più di una piccola parte di esso, ma egli replicò: ‘Vi prego di concedermi tutto il vostro tempo fino alla mia partenza, e di dettarmi il più rapidamente possibile. Vedrete che io scriverò più velocemente di quanto voi possiate dettare’. Così insieme a uno dei miei studenti gli leggemmo Galeno il più rapidamente possibile, ma egli scrisse ancora più velocemente. Noi non credevamo che egli stesse ricopiando correttamente sino a quando non facemmo un confronto e constatammo che tutto era stato trascritto correttamente».
Come ha osservato J. Needham, «questo affascinante scorcio su un contatto arabo-cinese (…) suggerisce chiaramente, e forse prova in modo definitivo, che nel X secolo d.C. esisteva almeno una traduzione di Galeno in Cinese». Sebbene non sia ancora stata individuata nessuna percettibile influenza della medicina ellenistica su quella cinese, e sebbene quest’ultima sia rimasta fedele alle proprie peculiari nozioni, è indubbio che questo tipo di legami interculturali andrebbe senz’altro approfondito, da un lato con l’affascinante seppur remota possibilità di scoprire nelle traduzioni cinesi qualche nuova fonte di informazione sulla medicina occidentale, dall’altro con l’obiettivo di una migliore comprensione dei modi in cui la scienza circolava e veniva trasmessa e di come tale fecondazione influenzò la trasformazione del sapere. Ciò stimolerebbe nuove direzioni di ricerca nella storia della cultura scientifica antica. Al fine di raggiungere questo obiettivo è necessaria una rete di studiosi con competenze diverse, dal momento che nessuno specialista possiede singolarmente le conoscenze necessarie a dominare le fonti di culture e paesi tanto diversi.